Appena partito da Singapore un pensiero mi assale: che Singapore sia l’ultimo miglio di occidentalità e che oltre mi aspetti solo l’Oriente vero, con la sua ignota (perlomeno a me) vastità culturale.
Forse quel limite invece è proprio Hong Kong, dove ancora puoi parlare inglese e sperare di essere capito, dove le mappe riportano ancora qualche nome inglese, dove trovi forse ancora uno Starbucks ad attenderti in aeroporto e qualche rib eye steak a tranquillizzarti, casomai non riuscissi a ordinare qualche altro miscuglio con il riso.
Ma per me non vale, ormai sono permeato di oriente, voglio solo l’oriente per il resto del mio breve soggiorno. In aereo ordino un Vietnamese Curry Chicken Rice e me lo gusto, bollente e spicy, con una Asahi “super dry” (whatever, man) che ho preso attirato forse più dalla bottiglia da 35cl anzichè 33. Piccole differenze che però contano, per un friulano.
Passiamo sopra un mare di isole, volando sopra minuscole nuvole che sembrano montagne innevate in miniatura. Mi ricorda che mi trovo in quella parte di mondo dove tutto è un po’ piccolo (la statura delle persone, i telefonini, le canoe dei pescatori, i piedi delle geishe), ma nel contempo immensamente vasto.
Ed ecco apparire la costa. È subito Hong Kong, come in un sogno. Un posto che ho letto, visto e sognato per anni: nei libri di avventura, negli spy movies, forse anche in qualche canzone… Che sia mai stato scritto un blues su Hong Kong?
E mi chiedo se esisterà qui un negozio vintage di strumenti musicali dove forse posso trovare un vecchio microfono per armonica. Poi penso che sono proprio un contro-viaggiatore: cerco la tradizione nelle città moderne, gli strumenti del passato nell’epicentro delle tecnologie del futuro.
Un po’ come quando mi sono infilato con la mountain bike in quel sentiero nella palude a Palau Ubin, un’isola poco distante da Singapore, cercando un brandello di giungla equatoriale, o qualcosa che fosse rimasto dal primo approdo degli inglesi, ma trovando solo enormi ragni, lucertoloni e cani randagi. E finendo per sudare come un matto per il sole, il caldo e l’umidità.
Invece Hong Kong mi investe, con le sue luci e i suoi colori, sembra di essere dentro Blade runner. E non riesco a stare in albergo a riposare, devo uscire a tutti i costi. E allora esci, Alberto, e respira un po’ di oriente, che tra un paio di giorni torni nella cara vecchia Europa.
E mentre esco dal mio iphone emerge un Naviganti di Fossati. Gran pezzo che anni fa mi fece scoprire una verità importante: che avevo viaggiato tanto, pur senza viaggiare mai. Poi dopo ho iniziato a viaggiare davvero, ma era una cosa diversa.
Ecco, questo post lo dedico a quelli come me. A noi che siamo naviganti dentro.
1 commento ↓
Per quest ed i 2 post precedenti: calp, clap, clap… sei un grande